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al testo di Salvatore Solinas
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Quando entrò in porto
la nave dalle alte luci sul mare di cristallo, il grande bastimento scortato da uno sciame di gabbiani, fu lo stupore di tutti. Ammainate le vele, scivolò silenzioso lungo il molo offrendo la fiancata calma e serena agli ormeggi. Quando sbarcasti regale più di un condottiero Assiro, i marinai in tenuta di gala le mani ruvide dal sale e dal lavoro delle corde, si inginocchiarono i presenti ansiosi di diventare tuoi sudditi… Il vento soffiava da Oriente da dove tu avevi navigato per molti mesi scrutando l’orizzonte. Cosa portasti Cristoforo a quella casta riva? Un simulacro di Cristo, spade, alabarde, polvere di cannone, rapine in nome di civiltà democratica. Di cosa caricavano le navi mentre tu banchettavi con attorno signori sussiegosi, alti prelati? Cacao, cotone, schiavi incatenati ai ceppi della stiva, piumati uccelli colorati, scimmie oro, sifilide… Ai tuoi piedi piegati questi selvaggi seminudi i cui corpi (ne discutono i teologi) forse non hanno l’anima. Viatico per future più efferate stragi. Venti lievi portano di sera il profumo del mare, quei venti che gonfiavano le vele nella stagione della giovinezza. Torna sulla scogliera il verso dei gabbiani. L’oceano s’adagia nel sonno ma tu non dormi. Insonni mostri popolano le tue notti: corpi straziati ancora fumiganti sui roghi spenti, giovani madri violentate e uccise, con il bimbo nel grembo, fosse ricolme di cadaveri, incubi neri disseminati nel campo della Storia. Cristoforo, quando sbarcasti sembrava che un tempo infinito ti navigasse innanzi, che i giorni non avessero mai fine e mare e terra ti appartenessero per sempre. Ma ora le tue orbite bianche, volte come allora all’orizzonte, somigliano alla morte che vagabonda passa cogliendo le anime perdute. Tra i rami del nespolo gridano gli usignoli Bianche vele coprono il cielo La nave sfiora la banchisa. Sei arrivato Cristoforo alla fine. |
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